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Rachel Blau DuPlessis Bozza 111: Arte Povera
trad. di Renata Morresi

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1.

È tutto impossibile
il gesto impossibile
la lingua impossibile
la sutura impossibile:

perla con piuma
                                        conservata in un comodo fastello, assieme
                                        ad altre cose, una dopo l'altra, miche, dentini da latte,
                                        tessuti di raso, ciottoli erosi, spaghi,
                                        ogni strato incartato e incantato.
                                        Una veridica vertigine di
                                        “assemblaggi...”


2.

Uno e uno e uno fanno 111
per certi calcoli. Per certi tumuli.
Cumulus o cumuli.
Una casa di nuvole, il suo àndito
“conchiglie, piume, specchio, vetro,
alghe, sabbia e carta ritagliata,”
si apre su una stanza
incastonata in modo simile.


3.

Nel mondo in quanto tale
ravioli al DNA
(pelle sottile li avvolge)
sfrigolano incessanti
(innocenti? perturbanti?)
per via di eventi randomizzati
in una politica dell'esplosione.

E allora come?
Tremando nell'instabilità
dei calcoli,
più di rabbia che di paura
si “mostra la propria opera.”

Essa è scritta per intero su ritagli,
interna traduzione di se stessa
che sigla le rovine coi refusi.

Vero che l'opera dev'essere rifatta.
Stavolta scribacchiando da destra a sinistra,
un problema ulteriore
con innumerevoli vettori.


4.

E se dopo tutto quanto, una faccia giusto
un elenco: casa, libro, tazza, infisso,
figlia, cani (persi), studio, Apple™.
E se fosse getto d'albero in germoglio,
lunghi amenti di dita tra i capelli,
la giovane quercia che sboccia, la pioggia “forte a tratti”
e le branche potate in autunno, e se
fossero folate gialle nella luce pesca-acerba,
una foglia di pera rossa che volteggia nella sala,
e se un vasetto di basilico salvato
dall'inverno, matto di mandare pesto,
o carezze, o calore, eros
celeste come il cielo, cambierebbe qualcosa?
Rimargina bene la ferita, persino se
fa senso la sua cicatrice –
elenchi inesplicabili:
la strana cangiante, la lingua a mezza bocca.
La lingua sbigottita. Avvita assieme
esemplari scelti di detriti exquis:
“etichetta di sigaro, fibbia in metallo, penna biro,
turacciolo, bullone, bigodino,
compasso, bottiglia in plastica,
nastro adesivo giallo, foglio d'alluminio,
cannucce, carta verde,
cocci di vetro blu.”


5.

È sufficiente?
Cos'altro serve?
Non basta mai.

Il lavoro continua,
le persone continuano.
La struttura continua.

A capo diventa una promessa di tornare indietro.

La somma totale di “mobilia usata, cassetti capovolti e assi, scatole scollate, resti di isolante, faretti vecchi, barattoli di confetture, vasi di fiori, cilindri cavi di cartone, schegge di specchio” con fogli di alluminio argento e oro sopra il tutto.


6.

Quand'è rimasta senza tele
ha preso il fondo di legno
del cassetto rotto d'un armadio,
un tavolaccio sudicio e imbrattato
di vecchie vernici, colore dei muri,
e ha dipinto uno straccio che pendeva da fuori
l'ha dipinto guardando di fuori:
muro di mattoni e straccio inzuppo appeso floscio,
gli schizzi di grigio, grigi schizzi sul legno dell'armadio
adesso sono neve che fiocca, sporca, sull'intera città.


7.

Giusto poche cose – un anellino turchese da bambina,
una maglia, graffette per l'imbottitura, bolli annullati,
una scatola, un necrologio sbiadito, e ricordi
di disastri del passato, una penna stilografica,
o fogliacci sparsi con calligrafie
di morti, o liste,
per dire appunto delle liste,
che non riconoscono
se stesse a offrire un orizzonte
di soccorso, testimoni, cura –
cosa fare di loro?

Parte della stramberia di scrivere,
la sua inutilità,
la sua ridicola presunzione
e la nobiltà è . . .
non può darsi nessun canto o scampanata
che animi rimpianti così piccoli,
contorti e soffusi
di nostra enormità.

Il suono che ne viene
è così più sincopato, più uno schiaffo:
“melodica Sprechstimme, extra di sospensioni al synth,
urlanti cut-up di incisioni, e nugoli di distorsione
fruscii, interferenze e frastuono.”
“Non saprai mai
che non saprai mai.”


8.

Fare una lista di nomi di nubi, sì,
per i biòccholi e sboffi del globo
per sue madreperla e eleganza,
che flottano sull'implacabile sostanza del globo,
che frangono su morte, gioia, odio,
menzogna, segmenti irriducibili
– sopra ogni cosa.
La poesia non è la cosa
cui aspirare. La cosa
è minore, qualcosa
di più nudo.
Non va per la “poesia”
come lemma complessivo.

Vuole solo essere presente a se stessa
non slittare in astronomici tormenti
né in dettagli e solo quelli,
(“colletti di camicia, campioni di filati
da ricamo, elastici di gomma, lacci
e vecchi calzettoni rappezzati”),
ma ecco, questa roba ancora schiocca.
Accumula scintillazione.
Impossibile evitare
segmenti di gioia.


9.

Preparare tutto per tempo,
la conta e la scelta,
lo specchietto laterale a pezzi, i miasmi d'immondizia,
gli incarti scartati di chicche per terra
lucidi di luccicore dolce-argenteo
contro il cemento.
E “metallo, vetro, neon, ardesia,
cera, argilla e legno,” di fronte a
“aria, cera, specchi, piombo,
giornale, neon, tubo e tessuto” –
ciascuno specchio dell'altro.


10.

Runnymede, Mnemosyne, un ruscelletto
un bel libretto, un po' baruch un po' brucha,
a la-dee-da, che gesta, voi idiomi a matrioska,
voi vestigia, voi resti,
questi assemblaggi per
mixare nomi e oggetti,
i leggii e le leggi,
noman-diche misure
di pura benedizione,
il sole arancio,
l'orage/bufera,
la luna arancio:

siete istruiti dalla voce interiore a
“portare tutto questo nella stanza del silenzio”

oltre che a trasportare un assortimento più convulso:
“avanzi in ferro, rimanenze del legno,
ricambi d'auto rotti, scampoli, bottoni e spiccioli.”


11.

Inviati
mendicanti

presentano se stessi
come se prescienti
della propria responsabilità
a resistere alla resa.
Essi diranno
della traccia del nostro tempo:
interpretando il suo passo cupo
con la forza dei loro postulati
sull'incompiuto.

Abbiamo una catasta di carni inconosciuta,
i danni.
Abbiamo una catasta di carni irriconoscibili,
i danni.
Abbiamo la cantata degli afflitti,

“la sigla enigmatica di più, per, là, ora, senza, no, se, già, salvo, chi, io, quando, né, da cui, lui, prima, ah!, eccetera, ecc.” e/o “le sigle énigmatique de plus, car, là, or, sans, pas, si, déjà, sauf, qui, je, quand, ni, désormais, il, auparavant, eh!, et caetera, etc.”


Note a Bozza 111: Arte Povera
Sezione 1. La citazione completa è “I suoi assemblaggi sono composti sia di oggetti trovati che di materiali costruiti appositamente; si va dagli armadietti alle credenze alle bottiglie di vino al compensato alle reti metalliche.” Dorothy Cross, Power House, allestimento all'ICA di Philadelphia, 1991. Ne rimane una parola. Sezione 2. Dalla brochure di A La Ronde, House of Shells, A 376 direzione Exmouth, a sud-est dell'Exeter, Inghilterra. Sezione 3. “Internal translation”, un concetto di Hölderlin, riportato da Philippe Lacoue-Labarthe (tradotto da Jeff Fort), Heidegger and the Politics of Poetry, p. 69. Sezione 4. Lista di alcuni dei molti oggetti del Wireman, “l'uomo dei cavi”, (leggermente riorganizzata), tratta da Brendan Graves, “Bare Wires”, Catalogo del Philadelphia Wireman, Fleisher/Ollman Gallery, 2011. [N.d.T.: Il “Philadelphia Wireman” è un artista anonimo, un outsider artist, conosciuto e riconosciuto criticamente dal 1985, dopo che 1200 sue sculture sono state ritrovate in una discarica, gettate via presumibilmente alla scomparsa del loro creatore (o creatrice, per quel che ci è dato sapere). Le opere sono variamente costituite di fili, corde, plastiche, pacchetti, parti metalliche, giornali, batterie avvolte da cavi elettrici e così via, straordinari ibridi di maschere africane e avanzi postmoderni.] Sezione 5. Descrizione (leggermente tagliata) a cura dello Smithsonian Museum of American Art dei materiali dell'opera di James Hampton, The Throne of The Third Heaven of the Nations' Millennium General Assembly (1950-64), Washington D.C. Sezione 6. L'artista in questione è Alice Neel. Sezione 7. “Sprechstimme...” è da un commento di John Corbett su David Grubbs, trovato nei miei appunti per Draft 35: Verso; non ho idea da dove sia tratto. Presente anche una citazione da Maurice Blanchot, Writing the Disaster, p. 82. Sezione 8. “Shirt collars...” fa parte della lista dei materiali di Hicks. Inoltre: Joan Simon, da Sheila Hicks: 50 Years, p. 112. Sezione 9. “Metal, glass...” viene dalla descrizione on-line curata dalla Tate Modern di Zero to Infinity, Arte Povera 1962-1972; “air, wax, mirrors” dalla descrizione della stessa mostra alla Walker Art Gallery. Sezione 10. Da un opuscolo quacchero trovato a Briggflatts. E “scrap metal...” è tratto da Roger Cardinal e Gwendolen Webster, Kurt Schwitters, p. 39. Sezione 11. “The enigmatic sigil...” e “le sigle énigmatique...” sono citazioni da Jacques Derrida, Signésponge/Signsponge, tradotto da Richard Rand, pp. 118-119. Questa poesia è sulla “linea del 16”.
[N.d.T.: i drafts di Rachel Blau DuPlessis sono scritti seguendo una propria visionaria cabala di allusioni incrementali, ovvero una griglia numerata che segue una progressione verticale dall'1 al 19, e si riallinea sulla riga accanto al primo draft ogni 19 testi. Si formano così “linee” empatiche di poesie tra cui si intreccia una fitta rete di echi, citazioni e rimandi. Sulla linea del 111 stanno: Draft 16: Title, Draft 35: Verso, Draft 54: Tilde, Draft 73: Vertigo, Draft 92: Translocation. In traduzione italiana è apparso il 16, all'interno di Rachel Blau DuPlessis, Dieci bozze (Vydia, 2012), a cura di Renata Morresi.]

Rachel Blau DuPlessis, Bozza 111: Arte Povera, trad. di Renata Morresi, Chapbook #16, Milano: Arcipelago Edizioni, 2012.
Translation based on the publication of this poem in Feminist Studies (Fall 2012).
Traduzione italiana © Renata Morresi
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